MASSIMO IOSA GHINI
LUISA AIANI E ICO PARISI
Massimo Iosa Ghini, Robin, 1989
La prima volta che il futurismo arriva a Bologna è nella seconda metà del Quattrocento, quando Niccolò dell’Arca fa scaturire dalla terracotta il dolore afono di Maria Maddalena, che come una nuova Nike corre e si protende verso il corpo del Cristo.
Devono passare cinque secoli quando, ad opera di alcuni studenti della facoltà di Architettura di Firenze, le forme e le ricerche futuriste trovano nuova vita in città. Ultima propaggine dell’avanguardia radicale fiorentina, il Bolidismo recupera le sintassi e i codici caratteristici del movimento futurista e li applica alla produzione industriale. Tra i principali esponenti c’è Massimo Iosa Ghini, che ai suoi studi accademici mescola le suggestioni e gli stimoli che gli arrivano dal DAMS e dall’ambiente artistico bolognese.
Se la prima ondata radicale aveva trovato nel disegno e nel collage le forme espressive più efficaci nel raccontare i propri progetti, Iosa Ghini sceglie il fumetto, in continuità con artisti come Pazienza, Igort, Jori e Carpinteri, che ha la possibilità di frequentare nel vivace panorama cittadino. Le forme architettoniche dei futuristi Chiattone e Sant’Elia si mescolano allo steamline americano e nei disegni gli edifici si trasfigurano in veri e propri bolidi.
E come bolidi Iosa Ghini immagina anche le sue sedie: la Numero Uno (1986), la Juliette (1987), la Dynamics (1988) e la Notorius (1988), protese in avanti come la Maddalena di Dell’Arca, ricordano i grandi parafanghi delle Chrysler degli anni ’30.
E così le Robin (1989) saturano lo spazio di garage BENTIVOGLIO, come una vettura che lascia dietro di sé la scia di una folle corsa.