ALDO ROSSI
ALDO ROSSI
Aldo Rossi, Cabine dell'Elba, 1982
All’interno del lessico compositivo di Aldo Rossi, le cabine dell’Elba rappresentano uno degli elementi ricorrenti già a partire dai disegni degli anni ’70, a seguito di un soggiorno sull’isola.
Le geometrie dell’estate trovano la loro prima concreta formalizzazione nel 1980, in occasione del Salone del Mobile, quando Rossi viene incaricato da Molteni&C a realizzare un arredo; come è solito nella pratica dell’architetto, la forma precede la funzione, e da piccolo edifico balneare la cabina diventa mobile d’arredamento, portando così l'esterno in un interno. Nel 1982 entrano nel mondo della produzione industriale con l'atelier di arredamento Bruno Longoni, versione della quale fanno parte le due cabine ora esposte.
Il linguaggio di Rossi è spesso permeato da questa suggestione, e le cabine dell’Elba diventano protagoniste di alcuni allestimenti fieristici, come quello realizzato per lo stand GFT (Gruppo Finanziario Tessile) a Pitti Uomo, oppure elemento progettuale, come nel caso della proposta della Casa dello Studente a Chieti, e anche quinta scenica, nel grande edificio direzionale di Fontivegge a Perugia.
Nel 1973 erano stati inaugurati I bagni misteriosi, la grande opera pubblica realizzata da Giorgio De Chirico per il giardino della Triennale a Milano. Una cabina era sospesa sopra la grande vasca d’acqua e portava nel mondo reale le attese e le inquietudini che permeavano i disegni del pittore italo-greco già nei primi anni ’30 e che erano stati sicuro riferimento anche per Aldo Rossi. La distanza che il vetro di garage BENTIVOGLIO interpone tra noi e le cabine, impedendoci di avvicinarci e permettendoci di contemplarle così solo da lontano, è forse la stessa che c’era la prima volta che queste sono entrate nel campo visivo dell’architetto, quando le ha scorte sulla spiaggia di Marciana Marina o su quella di Procchio. È anche la stessa distanza con cui possiamo ammirarle nei disegni di De Chirico, nei quali non possiamo addentrarci se non con l’immaginazione.
La distanza è anche il metro principale con cui ho imparato a lavorare in questi mesi con le opere e gli oggetti che si sono susseguiti all’interno di garage BENTIVOGLIO: non mi appartengono, perché altri sono i collezionisti, né sono stati scelti da me, perché un altro è il curatore della collezione, Tommaso Pasquali; lasciare una distanza tra me e loro è così l’unico modo per trovare significati nuovi, che non siano quelli legati a loro possesso o al loro valore storico-critico. Lasciare andare le cose, consegnarle al mondo, è una pratica necessaria affinché siano definitivamente libere; pensare di legare tutto a noi, come in una grande tomba faraonica, non permette alle opere di crescere e di resistere ai saccheggi e alle devastazioni a cui, irrimediabilmente, prima o poi andranno incontro.