A leggere l'inizio del breve scritto di Luigi Ghirri intitolato Una luce sul muro (1991), uscito nel corso del suo ultimo anno di vita, l'impressione è di trovarsi davanti alla registrazione di qualcosa che assomiglia a una rivelazione. Chissà se, da appassionato lettore di Borges, Ghirri avesse pensato a sé in quelle righe come al protagonista dell'Aleph, che nella cantina del poeta Daneri a Buenos Aires scopre quel punto dello spazio dove sono simultaneamente visibili “tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli". Anche nel suo caso, a ogni modo, la scoperta aveva avuto a che fare con una questione di percezione, di capacità di vedere.
Non si era trattato di scendere in un sotterraneo, quanto della coincidenza di aver visitato in quel periodo due stanze fra loro analoghe, entrambe allineate lungo la traiettoria poetica della via Emilia: la camera ottica costruita dentro un torrione della rocca di Fontanellato, dove grazie a un prisma la visione della piazza antistante si riflette nell'oscurità, e la camera da letto di Giorgio Morandi, usata come studio per tutta la vita, nell'appartamento di via Fondazza a Bologna che il pittore condivideva con le sorelle.
Nel novembre 1989, a Ghirri era stato infatti proposto da Carlo Zucchini un progetto fotografico sui due ambienti di lavoro di Morandi, lo studio di città e quello nella casa di Grizzana, sull'Appennino, due luoghi ai tempi non ancora aperti al pubblico e conservati intatti dalla morte del pittore, il 18 giugno 1964. Una selezione delle molte immagini scattate – ventisei di Bologna, undici di Grizzana – sarebbe poi stata pubblicata nel volume Atelier Morandi, uscito postumo nell'ottobre 1992.
Come scrive in Una luce sul muro, delle due settimane di lavoro in via Fondazza, Ghirri avrebbe trattenuto in particolare il racconto, fattogli da Zucchini, della disperazione del pittore quando, negli ultimi anni di vita, aveva visto sorgere davanti alle sue finestre la mole imponente di un condominio giallo. La costruzione aveva determinato “un'alterazione sulla quantità e la qualità della luce all'interno dello studio” che solo un sistema di telai orientabili escogitato da Morandi aveva potuto correggere, ristabilendo “un'accettabile luminosità per gli oggetti allineati davanti al muro” e restituendo così alle sue nature morte “quello che la mutazione della città aveva loro tolto”.
Questo episodio di “perdita del paesaggio” aveva colpito profondamente Ghirri, avendo a che fare con il tema complesso dell'indagine territoriale, da sempre al centro della sua ricerca. Ma, più in generale, l'esperienza di quella stanza poteva averlo interrogato ancora una volta, e a fondo, sulla questione del fare immagini, confermando la sua storica affinità con il percorso di Morandi e rivelandogli l'intima coincidenza fra i loro strumenti del mestiere.
In maniera simile alla stanza nel torrione di Fontanellato, accedere allo studio di Morandi – considerarne i raggruppamenti di oggetti, le variazioni di tono, le condizioni della luce proveniente dalla finestra – era un po' come se “miniaturizzati, potessimo entrare in una macchina fotografica”.