Luigi Ghirri.

Atelier Morandi

Luigi Ghirri. Atelier Morandi

24.4.24 - 30.6.24
“Ascoltami bene, Luciano. Ombra e luce non stanno più bene assieme di questi tempi, per via dell’aria sporca che non dà buone ombre, e poi ci viene anche nei polmoni. E noi come ubriachi cerchiamo di rimediare, mettendo dappertutto colori netti e vivaci che si vedano meglio. Ma siamo sempre più ubriachi, siccome i colori vivaci ti fanno dimenticare le ombre e i crepuscoli, e ti rendono stupido, ecco il fatto.”
(G. Celati, Condizioni di luce sulla via Emilia,
in Quattro novelle sulle apparenze, Feltrinelli 1987)
A leggere l'inizio del breve scritto di Luigi Ghirri intitolato Una luce sul muro (1991), uscito nel corso del suo ultimo anno di vita, l'impressione è di trovarsi davanti alla registrazione di qualcosa che assomiglia a una rivelazione. Chissà se, da appassionato lettore di Borges, Ghirri avesse pensato a sé in quelle righe come al protagonista dell'Aleph, che nella cantina del poeta Daneri a Buenos Aires scopre quel punto dello spazio dove sono simultaneamente visibili “tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli". Anche nel suo caso, a ogni modo, la scoperta aveva avuto a che fare con una questione di percezione, di capacità di vedere.
Non si era trattato di scendere in un sotterraneo, quanto della coincidenza di aver visitato in quel periodo due stanze fra loro analoghe, entrambe allineate lungo la traiettoria poetica della via Emilia: la camera ottica costruita dentro un torrione della rocca di Fontanellato, dove grazie a un prisma la visione della piazza antistante si riflette nell'oscurità, e la camera da letto di Giorgio Morandi, usata come studio per tutta la vita, nell'appartamento di via Fondazza a Bologna che il pittore condivideva con le sorelle.
Nel novembre 1989, a Ghirri era stato infatti proposto da Carlo Zucchini un progetto fotografico sui due ambienti di lavoro di Morandi, lo studio di città e quello nella casa di Grizzana, sull'Appennino, due luoghi ai tempi non ancora aperti al pubblico e conservati intatti dalla morte del pittore, il 18 giugno 1964. Una selezione delle molte immagini scattate – ventisei di Bologna, undici di Grizzana – sarebbe poi stata pubblicata nel volume Atelier Morandi, uscito postumo nell'ottobre 1992.
Come scrive in Una luce sul muro, delle due settimane di lavoro in via Fondazza, Ghirri avrebbe trattenuto in particolare il racconto, fattogli da Zucchini, della disperazione del pittore quando, negli ultimi anni di vita, aveva visto sorgere davanti alle sue finestre la mole imponente di un condominio giallo. La costruzione aveva determinato “un'alterazione sulla quantità e la qualità della luce all'interno dello studio” che solo un sistema di telai orientabili escogitato da Morandi aveva potuto correggere, ristabilendo “un'accettabile luminosità per gli oggetti allineati davanti al muro” e restituendo così alle sue nature morte “quello che la mutazione della città aveva loro tolto”.
Questo episodio di “perdita del paesaggio” aveva colpito profondamente Ghirri, avendo a che fare con il tema complesso dell'indagine territoriale, da sempre al centro della sua ricerca. Ma, più in generale, l'esperienza di quella stanza poteva averlo interrogato ancora una volta, e a fondo, sulla questione del fare immagini, confermando la sua storica affinità con il percorso di Morandi e rivelandogli l'intima coincidenza fra i loro strumenti del mestiere.
In maniera simile alla stanza nel torrione di Fontanellato, accedere allo studio di Morandi – considerarne i raggruppamenti di oggetti, le variazioni di tono, le condizioni della luce proveniente dalla finestra – era un po' come se “miniaturizzati, potessimo entrare in una macchina fotografica”.
In occasione dei sessant'anni dalla morte di Giorgio Morandi, Palazzo Bentivoglio apre al pubblico i suoi spazi sotterranei, proponendo una piccola mostra-dossier resa possibile dalla collaborazione con gli Eredi Luigi Ghirri e dedicata agli scatti realizzati tra il 1989 e il 1990 in via Fondazza.
La selezione di fotografie esposte, provenienti dalla collezione permanente di Palazzo Bentivoglio e dall'Archivio dell'artista, integra il racconto per immagini di Atelier Morandi con una serie di
stampe che non furono pubblicate nel libro e propone un itinerario sentimentale all'interno di un'evocazione dello studio così come appariva prima che l'appartamento venisse musealizzato con un intervento di Iosa Ghini Associati.
Il display di Davide Trabucco recupera e riconfigura i materiali dell'allestimento pensato da Franco Raggi per la mostra Felicissimo Giani (Bologna, Palazzo Bentivoglio, 2 dicembre 2023 – 25 febbraio 2024), ospitata negli stessi spazi. Impilati al centro della stanza, i pannelli di spesso feltro azzurro, cui erano appese le opere di Giani, disegnano a terra la pianta dell'atelier di Morandi – con le stesse dimensioni e proporzioni – realizzando una pedana rialzata che ricorda una serie di lavori (1993-1995) di Alberto Garutti, dove numerosi strati di moquette sovrapposte rendono concreta, tangibile, la planimetria degli spazi domestici dell'artista.
Al di sopra della pedana azzurra e accanto alle lunghe pareti dorate dello spazio espositivo, anche queste parte del progetto di Raggi, una serie di elementi modulari di legno sbiancato diventano i supporti, luminosi e opachi, delle fotografie di Ghirri. Le immagini del cortile, della finestra e della porta di accesso all'appartamento di via Fondazza segnano l'inizio e la fine di un'esplorazione di superfici e oggetti morandiani, che il visitatore può compiere camminando sui feltri, dove le foto di Ghirri sono state collocate da Trabucco in corrispondenza della posizione che i soggetti tenevano all'interno della stanza nella sua disposizione originaria.
Avvolti da una luce lattiginosa, a Ghirri si rivelano i barattoli, le bottiglie dipinte di bianco, le opaline e i mazzetti di fiori di carta, ancora disposti su ripiani e tavolini, oppure accumulati per terra in un angolo. Su un cavalletto vicino alla finestra, i residui di pittura hanno cementato uno straccio logoro. Fissata sulla parete accanto alla porta, una cartolina del ponte di Brooklyn accompagna una pagina strappata da un libro: illustra il rifornimento di un monoplano Blériot nel 1913. Aguzzando la vista nella penombra di una foto scattata da Ghirri sulla porta, forse prima di uscire, si intuisce la presenza di un'incisione del 1930 con un'affollata Natura morta (V. 73). Morandi la teneva appesa sopra il letto, di fianco a un orologio da tasca inchiodato al muro, e sotto una pagina miniata nella prima metà del Quattrocento da Bertolino de' Grossi, regalo di Luigi Magnani per il Natale 1958. Lontane da interpretazioni tortuose o eccedenti, le immagini antiretoriche di quegli oggetti sono “apparizioni naturali delle cose che sono nel mondo”, come dice Giorgio Messori – presente con Ghirri durante quelle sessioni fotografiche – nel video realizzato nel 2001 in occasione della mostra reggiana Luigi Ghirri. Antologica 1972-1992. Proiettato nella seconda stanza dei sotterranei (25'), il filmato affida il racconto anche a Paola Borgonzoni Ghirri, Gianni Celati, Arrigo Ghi e Massimo Mussini.
In uno scatto incluso da Ghirri nella serie Identikit (1979), l'interno di uno scaffale mostra una schiera di libri, sopra la quale sta poggiato in orizzontale un volume dalla costa arancio Einaudi. Il titolo si intuisce senza difficoltà: è L'opera grafica di Giorgio Morandi (1957) di Lamberto Vitali, il cui inserimento in quella raccolta, che delinea un autoritratto dell'autore attraverso gli oggetti della sua casa, riafferma in maniera programmatica la vicinanza al pittore che Ghirri non mancò mai di sottolineare.
Il legame, ancor più che sentimentale o geografico, è formale. Dei molti fotografi entrati nello studio di via Fondazza, prima e dopo il 1964, nessuno riesce morandiano quanto Ghirri, la cui “poetica ricognizione del mondo di natura” – e sono parole di Roberto Longhi su Morandi – non poteva che nascere da un genealogia di precedenti artistici straordinariamente simile a quella del bolognese. Per entrambi, individuare la forma delle cose sotto una luce vera, e interrogarsi sulla sostanza stessa delle proprie immagini, è possibile solo appartenendo a quella discendenza che Ghirri dichiara schiettamente nelle interviste: parte da Pietro della Francesca, prosegue con Beato Angelico nel monastero di San Marco a Firenze, e passa poi d'obbligo attraverso l'opera di Cézanne. In coda all'attività di Ghirri, il lavoro approdato in Atelier Morandi cade in un momento necessario. Avvicinarsi alla lunga contemplazione di oggetti polverosi, di poco conto, ancora disposti secondo le ultime combinazioni studiate dal pittore, offre al fotografo un correttivo alla generale perdita di
attenzione provocata dallo “sterminato emporio del moderno”. Lo studio di via Fondazza diventa così luogo di verifiche e di conferme linguistiche, dove la pratica di uno “sguardo meno affrettato” riesce a contrastare tanto il bombardamento mediatico di quegli anni Ottanta appena terminati, quanto le sperimentazioni a volte infeconde nell'ambito della fotografia contemporanea. L'esempio di un pittore che, a partire da oggetti contingenti e pretesti formali, si era in fondo sempre occupato della pittura stessa dà in ultimo ragione alla necessità, così profondamente sentita in Ghirri, di “passare da una fotografia di ricerca ad una ricerca della fotografia”.
“Cosa vuoi, io mi trovo sempre a fare i conti con la luce e con l'aria di Bologna, che mi entrano dalla finestra. È così in ogni stagione. Mi pare che d'estate, in genere, le cose vadano meglio. Allora, forse, le cose si lasciano vedere, si lasciano accostare di più. E la loro forma, dentro la luce, si mette d'accordo con qualcosa che è anche dentro di me”.
(G. Morandi, citato in G. Raimondi, I divertimenti letterari, Mondadori 1966)
Tommaso Pasquali