MASSIMO MOROZZI

MASSIMO MOROZZI

Massimo Morozzi, Tangram, 1983
Il piano cartesiano, con la sua estensione infinita, seduce buona parte delle avanguardie architettoniche degli anni ‘70: se per Superstudio la Supersuperficie è persino in grado di connettere la Terra con la Luna, per Archizoom la No-stop city elimina prospettive e proporzioni, rendendo omogenei tra loro tutti i punti dello spazio.
Non è un caso che queste avanguardie nascano in ambiente fiorentino, tra le griglie della vetrata della Stazione di Michelucci e i moduli quadrati di Brunelleschi per la chiesa di Santo Spirito.

Questa generazione esagerata rifiuta e svincola definitivamente il ruolo dell’architetto dalla pratica costruttiva. Il progetto non ha più come fine la singola architettura, ma la costruzione dell’intero spazio tra le cose. Le immagini diventano così più importanti degli edifici stessi, non dipendono da norme e regolamenti e soprattutto sono immediatamente veicolabili.

Quando gli entusiasmi radicali si spengono, i gruppi si sciolgono e i vari componenti prendono strade differenti, le fascinazioni spesso continuano ad alimentare i lavori dei singoli progettisti.
Il Tangram di Massimo Morozzi contiene così in sé la possibilità di invadere il piano in tutte le direzioni, di connettere nuovi pezzi all’infinito e attraversare il mondo con un unico segno; allo stesso tempo, lo spazio del garage, invaso completamente dal tavolo, rende quasi inservibile l’oggetto e ne evidenzia le caratteristiche prettamente formali.
I vari piani, con una pratica quasi postmoderna, sono sostenuti a volte da classiche gambe, a volte da elementi quasi scultorei, a volte da piani verticali: Morozzi compie così un piccolo compendio delle diverse possibilità con cui disegnare un tavolo, tutte riunite in un tavolo di tavoli.
Il tavolo può essere così ricomposto secondo le necessità dell’utente, addirittura trasformandolo in un grande arcipelago di elementi indipendenti.
È sicuramente il più salomonico degli oggetti di design: in caso di successione ereditaria, ogni erede può averne infatti la sua quota, senza che siano intaccate estetica e funzionalità.