POST-RUIN Bentivoglio

POST-RUIN BENTIVOGLIO

28.04.22 - 12.06.22
A cura di Antonio Grulli
Al centro di tutto è la grande installazione POST-RUIN Bentivoglio (2020), che attraversa le tre sale dei sotterranei cinquecenteschi dell’edificio. L’opera, da cui prende il titolo la mostra, rimanda al passato dell’edificio - legato al precedente palazzo della famiglia bolognese distrutto da una sommossa popolare - e fa parte di una serie in cui il concetto di rovina viene sovvertito rendendo l’opera utilizzabile a piacimento dal pubblico. Si compone infatti di elementi modulari attraverso i quali è possibile modificare gli spazi, assemblandoli per ricreare un’ipotetica rovina antica o dividendoli e sparpagliandoli così da ottenere sedute o punti di appoggio. I blocchi, gli archi e i frammenti della rovina sono realizzati con materiali soffici e leggeri.
La superficie dei pezzi è stampata con la fotografia di un pattern marmoreo. Si tratta di un’opera che mette in discussione la monumentalità e la distanza di rispetto che siamo soliti riconoscere alle antichità. In passato, altre installazioni della stessa serie sono state esposte in importanti musei e all’interno di manifestazioni come Documenta 14 del 2017, in cui uno di questi lavori era diventato spazio dedicato ai talk aperti al pubblico. All’interno di questa mostra l’installazione diventa una scultura utilizzabile per vivere lo spazio e osservare le altre opere. Nei tre ambienti espositivi sono infatti presentati dei video sia ambientali, sia proiettati su schermi, in cui la visione dell’architettura e dello spazio abitato nel loro progresso storico ben esemplifica il lavoro di Angelidakis.
Assieme a questi viene esposta una serie di piccole sculture realizzate tramite stampanti 3D e in grado di rendere reali le visioni architettoniche progettate al computer dall’artista. Mentre nella prima sala il pubblico è accolto da due grandi wallpaper realizzati per l’occasione, altro elemento classico della sua produzione artistica.
Andreas Angelidakis si muove nello spazio di confine in cui arte e architettura si sovrappongono. E’ stato definito un architetto che non costruisce, ma potrebbe essere più corretto vederlo come un critico e un intellettuale che utilizza l’arte per riflettere sullo spazio che ci circonda e sul modo in cui le nuove tecnologie influenzano l’architettura e il modo di vivere di ciascuno di noi. Il suo approccio non scade mai nel moralismo degli usi e dei costumi di oggi. L’ironia e la giocosità di molte sue opere sono spesso intrinsecamente legate a un senso romantico di nostalgia e solitudine in grado di far emergere la complessità e il mistero presente nella vita contemporanea. Il computer, internet e le nuove piattaforme social diventano per lui uno dei principali strumenti del fare architettonico, permettendogli di spostare una pratica generalmente collettiva - il costruire - nell’isolamento dello studio artistico e intellettuale.