RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

7.12.24 - 23.2.25
a cura di Tommaso Pasquali
“Caro Dr. Stame, mi permetto scriverLe dietro suggerimento del Prof. Vasco Bendini che ha indicato in Lei una delle persone più attente e sensibili ai problemi delle arti figurative a Bologna. Il Prof. Bendini mi dice altresì che la Sua è una delle poche raccolte veramente ‘attuali’ in Bologna”: è il novembre 1965 quando questa lettera del giovane gallerista romano Fabio Sargentini arriva a Palazzo Bentivoglio, nell'appartamento del notaio bolognese Antonio Stame (1909-2000), che già da tempo ha fatto della propria abitazione al piano nobile un luogo dedicato all'arte del suo tempo. Per più di quarant'anni, dal 1946 al 1989, infatti, la collezione privata del notaio Stame – articolata e “attuale”, come indicava Bendini, che aveva il proprio studio dentro il palazzo – è stata la manifestazione su parete di una lunga avventura intellettuale, dagli entusiasmi giovanili coltivati nel salotto bohèmien ospitato con la prima moglie Anna Maria Crocioni (1910-1978), fino alla più impegnata e matura stagione collezionistica insieme alla collega notaia Vincenzina Lanteri (1929- 2019), cui fu legato a partire dal 1961.
Con questa nuova mostra invernale ospitata nei suoi spazi sotterranei, Palazzo Bentivoglio vuole riconnettersi ancora una volta alla storia dell'edificio e rendere nota al pubblico la vicenda inedita di una raccolta d'arte nata e cresciuta fra queste mura, in decenni cruciali per le ricerche artistiche e per la costituzione del mercato dell'arte contemporanea in Italia.
Frammentata oggi in diverse proprietà, italiane e straniere, la collezione Stame-Lanteri copriva con le sue trecento opere il vasto territorio che sta fra le Avanguardie storiche – in particolare il Dada- Surrealismo – e il ritorno alla figurazione degli anni Sessanta e Settanta, passando per le esperienze astratte e informali.
La vicinanza a studiosi e intellettuali, primi fra tutti Francesco Arcangeli a Bologna e Arturo Schwarz a Milano, così come il costante aggiornamento su mostre pionieristiche e rivalutazioni critiche, consentì agli Stame di costituire una raccolta al passo con i propri tempi, ma orientata da una chiara indipendenza di giudizio, dove potevano coesistere approfondimenti monografici e opere rappresentative di ricerche fra loro distanti. La prontezza nel recepire le novità e la finezza di molte delle acquisizioni, oggi visibili in mostra, conferma la fisionomia peculiare degli Stame entro il panorama del medio collezionismo italiano di quegli anni, tanto più prezioso quanto ancora poco indagato nel dettaglio.
Nel riportare a Palazzo Bentivoglio una selezione di sessanta opere rappresentative, tutte già parte della collezione Stame-Lanteri, la decisione di pensare le stanze e le pareti dei sotterranei come display per piccoli dossier e raggruppamenti monografici rimarca la convergenza delle scelte dei collezionisti verso alcuni specifici snodi delle ricerche artistiche del secolo scorso. Consente così di riconoscere tanto la coerenza critica quanto le deviazioni autonome che stavano a monte dei loro desideri.
Esposti da Ferruccio Laviani davanti a un fondale di tessuti drappeggiati, i lavori tornano a interagire fra di loro a distanza di anni, invitando il visitatore a ricostruire legami concettuali e suggestioni formali. Come avviene con i lenzuoli stesi sui mobili nelle case a lungo disabitate, le tende mostrano a volte l'emergere di una forma: l'impronta fotografica di una porta, di un nome, di un segno sul muro sono immagini fantasmatiche del luogo, dentro il palazzo, cui per molto tempo appartenne la collezione.
Prendendo a prestito il titolo del piccolo plexiglas di Gianfranco Baruchello del 1965, esposto nella seconda sala, viene perciò facile leggere la mostra come un personalissimo, inedito, riassunto delle puntate precedenti.
Il percorso, che include 44 opere, si snoda attraverso le tre sale principali dello spazio espositivo, che conta su un allestimento dell'architetto e designer Franco Raggi, pensato come un fondo continuo: uno d’oro con il compito di trasformare le pareti espositive bianche ed estendersi anche sugli antichi muri di mattone; l’altro azzurro e materico, in feltro, su cui le opere vedono esaltare le proprie qualità cromatiche.

Una scelta audace, come spiega lo stesso Raggi: «Una parete morbida e inusuale per appendere dei quadri ma giusta per accentuare con materia e colore il nastro continuo del percorso. A segnare gli estremi delle fasce azzurre ho messo delle cuciture rosse a “zig-zag”, mio ricordo personale dei bordi di una poltrona in feltro di Rietveld della quale ho sempre amato gli spigoli».